It’s all true. The bogeyman is real and you found him.
“Salve a tutti, vi piacciono sangue, violenza e malformazioni? Allora venite da Captain Spaulding!”
La situazione è classica: due coppie prendono la strada della provincia americana durante la notte di Halloween in cerca di folclore locale. Quello che succede è che si fermano in una stazione di servizio, gestita da uno squinternato clown in fissa con oggetti orrorifici. Questi gli racconta la storia di Dr. Satan e i ragazzi decidono di mettersi sulle sue tracce. Poi succede anche che finiscono in una casa di psicopatici con intenzioni tutt’altro che amichevoli. Fino a qui niente di nuovo. Ho volutamente descritto e sintetizzato la trama de “La Casa dei 1000 Corpi” con una terminologia zeppa di retorica, al fine di sottolineare la tipicità che unisce il primo lungometraggio di Rob Zombie al pentolone delle trame horror americane.
Ciò che però rende quest’opera completamente diversa da tutte le altre è il contesto contenuto-visivo che permea tutti gli 88 minuti del film, datato 2003.
Innanzitutto ma non tutto, “La Casa dei 1000 Corpi” è un film dell’orrore in cui l’ironia viene utilizzata a mestolate, basti pensare alla scena iniziale, ove due rapinatori entrano nella stazione di servizio del beneodiato Captain Spaulding; la gestualità, i dialoghi e la grottesca situazione che si dispiega in non più di tre minuti di pellicola è tanto allucinante quanto burlesca.
Poi.
La sperimentazione: Rob Zombie, in un film deliberatamente ispirato alle vicende legate alla famiglia Saywer – il “Non Aprite quella Porta” di Tobe Hooper – e al genio degli orrori legati ad un’abitazione, cerca sfrontatamente di sperimentare su tutti i lati. Calzante la scelta di frusciare immagini citazionistiche e colori neon-psichedelici in una fotografia isterica, ma sempre appropriata ai contesti che vengono ideati.
In ultimo.
Ne “La Casa dei 1000 Corpi” non esiste morale, non s’intuisce salvezza, non ci sono compromessi. E’ pura violenza fine a sè stessa. ignorante e per niente ambigua. Non ci sono punti luce o angoli in cui ripararsi. “La Casa dei 1000 Corpi” disturba per il gusto di disturbare. Mi viene in mente, in qualche modo, con le dovute abissali distanze, Arancia Meccanica di Kubrick.
I hate fucked up families.
La prima volta che ho visto Rob Zombie in realtà l’ho sentito. Era sulla copertina di un CD che un amico mi aveva infilato in una pila d’ascoltare assolutamente, insieme ad altra roba di Suicidal Tendecies e Machine Head.
L’album era “Astro-Creep 2000″ dei White Zombie e solo dopo diversi anni appresi che il buon Rob era anche regista e compositore di colonne sonore. Oddio, chiamarlo compositore mi sembra quantomeno azzardato. Senza nulla togliere alle sue capacità, che reputo geniali.
La forza della colonna sonora de “La Casa dei 1000 Corpi” sta nel folk. Sì, può sembrare strano, ma tutto il film, seppur – come già detto – estremamente sperimentale e lontano dai soliti canoni della cinematografia horror, si basa anche su di una concettualità provinciale, da redneck e ne trasforma gli stereotipi e gli archetipi. Così anche la linea musicale, che riprende un country rock molto caro al regista, sporco e ipnotico, adattandolo alle riprese – forse adeguando addirittura il film alle musiche, tanto da avere a tratti le sembianze di un videoclip -.
In tutte le venticinque tracce soltanto cinque prendono la firma di Rob Zombie, il resto è suddiviso in una maggioranza di quote (addirittura quattordici) ricordando idealmente il cult compositivo di Pulp Fiction, uscito nelle sale quasi dieci anni prima.
Il resto è suddiviso tra il country-man Buck Owens, l’immortale “I Wanna Be Loved By You” di Helene Kane, Slim Withman, il maestro dello yodel, e i vecchi cari Ramones.
Country dunque, e rock e horror e violenza pura e psichedelia, questi sono gli elementi fondanti di un film che per qualcuno è stato addirittura rivoluzionario, mentre per altri è risultato stucchevole, arrivando a risultare noioso in una trama senza troppi capovolgimenti contenutistici.
Se dovessi fare un paragone però con l’ultimo “Le Streghe di Salem” – e lo farò – pellicola psicologicamente più impegnata, potrei trovarmi a pensare che la strada di Rob Zombie è quella della “Casa dei 1000 Corpi”, di “Devil’s Reject” e, in parte, del primo “Halloween” a sua firma. Non è un’aggravante. Non è un’attenuante.
Musicalmente, canzoni come la title track “House of 1000 Corpses” sono perle, quasi un blues allucinogeno che scivola sui titoli d’inizio tra una composizione di scene dalla color correction lo-fi, fastidiose e esasperate e immagini di reportorio fittizie – nel film vengono riprese anche scene cult da film dell’orrore classici, vedi Nosferatu -.
Oppure “Pussy Liquor”, sempre ad opera del regista, sempre sulla lunghezza d’onda della precedente, ma molto più macabramente sexy, legata all’immaginario ormai leggendario di Sheri Moon Zombie, compagna, musa, attrice e bella figa.
In definitiva, ascoltare l’OST de “La Casa dei 1000 Corpi” è un’esperienza incoraggiante e scoraggiante nel medesimo istante. E’ il cercare la semplicità nella complessità di un film azzardato e alla fine riuscito. Questo è.
We like to get fucked up, and do fucked up shit.
“Le persone vanno vengono, ma quanti hanno il coraggio di fermarsi per guardare il basso ventre della bestia, e allora ci penso io a colmare il vuoto. Spero che vi piaccia quello che vedete! Spero proprio che vi piaccia quello che vedete”.
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